Ci sono molte cose che mi girano in testa e di cui sento di dover parlare.
Il primo è la dignità.
di Stefano Cantadori
È facile capire per chi e cosa possiamo essere scambiati.
Quella sera da Lerner la tragedia dell’amianto veniva prima ma anche quella volta abbiamo capito che il nostro turno non viene mai. Un altro giorno, in altra trasmissione, qualche minuto ce lo avrebbero potuto dare. Non per sentire la nostra detta in televisione, si fottano la televisione e i falsi dei. Era per avere la sensazione di esistere. Ci siamo anche noi.
Invece no, perché non contiamo nulla. Siamo pochi, i nostri voti non pesano. Nello spettacolo noi tecnici siamo gli schiavi ed i paria, uomini senza volto. Non conta se mangiamo. Non conta se non ci lasciano il tempo di dormire e quindi rischiamo la pelle per il sonno e la stanchezza. Peggio ancora, quando è il momento di prendere i soldi, vediamo i miliardari allontanarsi per le loro ferie e i loro yacht con i nostri soldi in tasca, perché ci pagheranno. Un domani. Forse.
A voler essere precisi manco li vediamo allontanarsi mentre sotto al palco le mani staccano le spine. Spariscono, alla velocità della luce, per non essere contaminati dal mondo normale, figuriamoci dal sub-mondo. Ogni tanto una maledetta copertura crolla e qualcuno ci lascia le penne. Ogni volta c’è una ragione precisa e prevedibile ma vaffanculo.
L’importante non è la sicurezza, l’importante è riempire per ogni spettacolo una montagna di carte per sollevare Tizio Pubblico o Caio Ufficio dalle loro responsabilità.
Quando è il momento, chi chiama il comune per i servizi tecnici? Una entità priva di ogni requisito, perché spende meno. O perché il mannaggia intermediario di turno si becca più soldi. Infine, manco il comune paga. Tiene i fottuti soldi in tasca, per fare bella figura. Con chi? Porca miseria ladra, con chi? Manitù li fulmini tutti, in questa Italia storta e depravata. Mi viene in mente Pepi Morgia, che riuscì nell’intento di fare il mestiere con dignità. Sulla carta d’identità aveva fatto scrivere artista. E proprio così si è portato nella vita, inserendo un vasto arco di prestazioni, sempre di natura artistica, a fianco di quelle di lighting designer. A quel tempo io non ero riuscito a far scrivere sulla mia carta d’identità tecnico del suono. Mi guardavano con compatimento ed ironia all’anagrafe quella mattina. Dovetti abbassare lo sguardo e mettere artigiano, perché ero iscritto agli artigiani.
Mia nonna era sarta e non sapeva che mestiere facesse suo nipote. Diceva alle amiche che glielo chiedevano “mah, al gà i sonèn”. Cosa siano i “sonèn” non lo saprei dire. Per molti di noi, me compreso quando facevo il noleggiatore, era ed è un problema far capire al commercialista in cosa consiste il nostro lavoro.
La maggior parte di noi non ha idea e non sa in quanto tempo si ammortizzi fiscalmente un mixer audio e non lo sa nemmeno il commercialista, che vi dirà in cinque anni. Controllate se non è così. Ci trattavano e registravano come elettricisti, elargendo pareri contrari a quelli che servivano per sviluppare l’attività e crescere. Non è cambiato nulla. Se ti va bene sei elettricista, almeno puoi firmare. Quando torni a casa non puoi parlare del tuo lavoro con nessuno che non sia del mestiere, non capirebbero nulla del fuoco che ci pervade. Ci capiamo solo fra noi.
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